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AIΩN, ΜΕΤΑ ΑΨΙΝΘΟΝ – Quirino Principe

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Aion - Quirino Principe
AIΩN, ΜΕΤΑ ΑΨΙΝΘΟΝ – Quirino Principe

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Quirino Principe, AIΩN (Aion), Fiorina Edizioni, Varzi 2016 – Libro a leporello

ΑΙΩΝ è un poema in 5 parti, dalla struttura perfettamente simmetrica. […] La parola greca antica αἰών (“eone” o simili, in molte lingue moderne) indica un tempo concluso, sentito come irreversibile, o, in altri casi, una sfera temporale con una sua unicità ontologica. L’espressione εἰς τοὺς αἰῶνας significa in aeternum. Il tema dell’intero poema è la fase terminale di vita e di esistenza del Cosmo: secondo l’ipotesi del “big crunch”, il tratto estremo dell’agonia. Gelo, silenzio, crollo, buio, sono i connotati fisici di una singolarità cui do un significato metafisico.
Quirino Principe

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Descrizione

AIΩN, ΜΕΤΑ ΑΨΙΝΘΟΝ - Un poema sull’enigma del tempo oltre il tempo

Aion è un leporello di Qirino Principe edito da Fiorina Edizioni

  • Titolo e sottotitolo: AIΩN (Aion), ΜΕΤΑ ΑΨΙΝΘΟΝ
  • Autore: Quirino Principe
  • Illustrazioni: Loredana Müller
  • Collana: Princeps – I
  • Data: 2016 (prima edizione)
  • ISBN: 9788899868048
  • Caratteristiche: libretto alla Leporello a stampa digitale su carta pesante opaca (250 gr), copertina rigida illustrata e astuccio editoriale . Ogni copia è datata e firmata a matita dall’editore. Copertina cm 15,5 x 10,5. All’interno 28 carte stampate sul recto e piegate a fisarmonica (zig zag) con nove tavole a colori (una a doppia pagina) dell’artista svizzera Loredana Müller.
  • Maggiori informazioni: le 28 pagine, dispiegate, misurano cm 15,5 x 280. "Libro oggetto" interamente realizzato in Italia.
  • Condizioni del libro: nuovo
  • Peso: 240 gr.

Parafrasi

  • Preludio: Una formica (Eraclito o Platone la chiamerebbero, nella loro lingua, myrmex) passeggia su un nastro di Möbius. L’imenottero è solo e pensoso, come nel sonetto XXXV di Petrarca: vibra in lui Eros, sommovendo tempo e spazio. Myrmex percorre la striscia di carta, saldata ad anello, fino al punto in cui la torsione gli permette di passare sulla faccia “opposta”. Da quell’istante, si trova in un altro spazio e in un altro tempo, dove passato e futuro coincidono. C’è chi si avventurò dentro lo specchio; Myrmex entra in un’incisione di William Hogarth (1697-1764), Finis, pubblicata a Londra sabato 3 marzo 1764. La scena è l’inizio del Nulla. Ma il Nulla non è il “non esistente”: infatti, possiamo nominarlo. Propriamente, il Nulla è il “non più”, e il “mai più”. Hogarth maschera il Nulla con forme simboliche abbandonate alla rovina, al rudere. Può darsi che sopra dormano gli dèi, imbecilli e beati, “schicksalslos”, senza destino, come in Schicksalslied di Hölderlin.Ogni maceria è relitto di un destino, di un vivere, di un fare, di un godere: la bottiglia rotta, la scopa spAION-cover-quirino-principe-shadowennata, il calcio di un moschetto, frantumi di campana (quella di Schaffhausen, celebrata da Schiller in Das Lied von der Glocke ?), uno strumento ad arco senza più corde, una corona arrugginita, la crollante locanda “Alla fine del mondo” con l’insegna in bilico raffigurante un pianeta che brucia. Abbandonato nella polvere, il copione teatrale di un antico dramma. Nell’angolo di una pagina, la didascalia “exeunt omnes”. Seduto, agonizzante, un vecchio decrepito, il Tempo, tiene in mano un brevissimo testamento in cui era riuscito a scarabocchiare “lascio tutto a Dio”, ma poi aveva cancellato “a Dio” sostituendolo con “al Caos”.
  • Bar: Cinque parti in simmetria sono la struttura inevitabilmente luciferina del poema. Le tre sezioni centrali nascono in omaggio a tre grandi artifici della poesia d’Occidente: (a) la forma del Bar, viva nell’arte tedesca dei Minnesänger e dei Maestri Cantori (celebrati da Richard Wagner rispettivamente in Tannhäuser e in Die Meistersinger von Nürnberg) tra il XII e il XVI secolo; (b) la sestina arnaldesca e dantesca dalle 6 coblas con retrogradatio cruciata, la cui invenzione va attribuita quasi certamente al trobadour aquitano Arnaut Daniel (circa 1150-1210) secondo lo schema a catena ABCDEF-FAEBDC-CFDABE-ECBFAD-DEACFB-BDFECA che allude (si sussurra) agli arcani e terribili enigmi chiusi nella maledizione del gioco a dadi e alla numerazione di ciascuna faccia di un dado; (c) le rime equivoche e ipermetre e la possibile convertibilità dei significati nel loro contrario. Il Preludio, penetrando nell’incisione di Hogarth e dietro o al di là di essa, voleva dare la percezione della Fine del Tempo: per noi esistenti nello Spazio-Tempo (nel “chronotopos”), quell’evento ultimo e inconcepibile ai limiti dell’Infinito è la Fine di Tutto. In Bar, ci travolge una serie di domande deliberatamente assurde così come sono assurdi l’Essere e il Nulla. «Quale tempo dopo il tempo?», «quale fine dopo la fine?», «come immaginare, in modo percepibile dai sensi, l’inimmaginabile?». Lampeggiano paradossi logico-matematici e spaventosi fantasmi di mostruosi numeri: il googol, il googolplex, il mega, il moser. Il Bar di tradizione “mittelhochdeutsch” (medio-alto-tedesca), qui ripensato e ri-stilizzato, era tripartito: Stollen I (qui, Bare), Stollen II (qui, Bari), Abgesang (qui, Baro). In tre fasi:
  • bare: Alfa, la nascita, la “ferita che non lascia segno”, è remota, immemorabile. Nessuna stella irradia più luce. Ogni astro è spento, morto. Come i numeri primi si diradano crescendo, così Omega non è Dio: è “l’astro che ti divora”.
  • bari: Una città: già leggenda, quando nasceva la sestina di Arnaut e di Dante. Bari, in Rosa fresca aulentissima, è scrigno di ricchezza. Poi lo sfiorire. Simbolico, l’incendio del Teatro! E ne resterà traccia, quando ogni astro sarà bara vagante?
  • baro: E le speranze, le promesse di fedeltà, di amore eterno? Si conserveranno, in qualche inimmaginabile modo, i significati della Nona di Beethoven, di Tristan und Isolde, di Bach “Kantor” e dei “transfiniti” di Georg Cantor?
  • Postludio: Myrmex supera la torsione sul nastro di Möbius, cerca «un punto sul vertice del vuoto», ricorda Dante e il gracidar di rane nello stagno, e il verso finale delle Duineser di Rilke… ma qui crolla l’asse del Tempo. Continua a esistere qualcosa “senza fine”: gli enigmi insolubili, come la duplicazione del cubo, detta “problema di Delo”. Afferriamo quel tenue sopravvivere dei significati d’Occidente. Come nel Somnium Scipionis, tentiamo di coesistere con le stelle.(Milano, 9 settembre 2016)

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