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Maria Grazia Insinga, La fanciulla tartaruga. Viaggi ad alta voce. Disegni di Stefano Mura

Recensione di Anna Maria Curci
Articolo originale su Poetarum Silva - Foto di Maria Grazia Insinga: "Lu e Indigo Z"

Ci sono libri – ho avuto modo di sperimentarlo più volte – che sanno attendere il momento in cui saranno letti, percorsi, esplorati perché possano dispiegare una rete di associazioni e richiami, e perché, soprattutto, possano far risuonare e risplendere tutta la loro bellezza-verità. Questo è senz’altro il caso dei “viaggi ad alta voce” narrati, illustrati, fatti librare in La fanciulla tartaruga di Maria Grazia Insinga, un libro che fa confluire più registri, più vie di accesso verso un itinerario che non ho timore di definire “percorso di formazione”.

È un percorso di formazione che attinge a numerose fonti, scelte con sapienza tra ambiti di conoscenza – filosofia, poesia (sì, la poesia!), pedagogia, psicologia – e tipologie testuali – la favola, la fiaba, il libro illustrato, il romanzo di avventure, il poemetto. Proprio da un poema, Le cimetière marin di Paul Valéry, è tratta la strofa che è posta come esergo al libro:

Zénon ! Cruel Zénon ! Zénon d’Êlée!
M’as-tu percé de cette flèche ailée
Qui vibre, vole, et qui ne vole pas!
Le son m’enfante et la flèche me tue!
Ah! le soleil… Quelle ombre de tortue
Pour l’âme, Achille immobile à grands pas!

Il viaggio inizia, in un’alternanza tra visioni oniriche, fluire di immagini mai interrotte da segni di interpunzione, entrata in scena dei personaggi – in particolare lu, la fanciulla, kurma, la tartaruga e erwin, il gatto –, traiettorie e permanenze in città visibili e invisibili, soggiorni e rimbalzi (ma confesso di aver pensato in prima battuta alla parola francese “rebondissements”):

«erano vuoti turbinavano il sole sulla ragnatela a luccicare e dentro e intorno vuoti a milioni li vedevo solo io li collezionavo come libri di notte sognavo di entrare in biblioteca rubare libri non vista invisibile vuoto che si porta dietro un vuoto esperta lettrice di vuoti un’intera collezione nella casa non può entrare nessuno e così ogni mattina apro la porta di fronte una città diverso il giorno prima un’altra e il precedente e ancora ancora solo erwin e kurma stanno nel guscio delle non numerabili città kurma più di duecento giorni fa una freccia nel carapace un gioco crudele e la freccia non veniva via e la ingentilii con una vela ora si gonfia nei giorni ventosi erwin un gatto rosso tutte le sere elaboro una teoria tentativo di sintesi del mondo ma dice che si fa così quando non si capisce una cosa e fai finta»

Le illustrazioni di Stefano Mura scandiscono il procedere della narrazione-visione; nell’attraversamento di frontiere-canali-mari la fanciulla è accompagnata non solo dagli inseparabili erwin (sulla sua spalla) e kurma (che precede con la vela sul carapace), ma anche da considerazioni su varietà e diversità di lingue e linguaggi:

«a città diversa parlava una diversa lingua e il mondo era un palinsesto illeggibile stanza cinese unica istruzione per capire farsi capire la prosodia dei sensi lo sguardo l’intonazione della voce il ritmo delle parole dei gesti la durata della gentilezza l’accento della personalità»

Muoversi tra realtà differenti, e piani, e dimensioni, richiede il ricorso a molteplici e multiformi mappe. Richiede, inoltre, il coraggio di affrontare sdoppiamenti e separazioni, e, ancora, l’animo di ricercare ponti e passaggi. Verso quali approdi di spazio e tempo porterà questo viaggio? Attraverso quali incontri? Consegno queste domande, come un testimone, a chi vorrà seguire il mio invito a scorrere le pagine di questo libro, ad addentrarsi nei suoi sentieri, ad accompagnare lu, kurma e erwin tra volumi, coste e peripli, magari raggiungendo l’Inghilterra passando per l’Africa.

© Anna Maria Curci.

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